Notte dell’anima e contratto dell’anima
« Sono appena uscito da una grave depressione… Lei pensa che io debba davvero vivere questa cosa? Mi chiedo se c’è qualcosa che non ho capito, che non ho visto o se invece la mia anima avesse già deciso questa prova prima della mia nascita…».
La persona che un giorno mi pose questa domanda era una persona sulla cinquantina. Il suo volto emaciato mostrava ancora i segni dello sconforto. Solo una fiammella nel suo sguardo limpido poteva testimoniare del fatto che la dolorosa pagina di vita che aveva appena sperimentato si era davvero voltata. « La risposta ce l’ha solo lei, nel suo profondo » gli dissi « perché questa risposta è sempre individuale. Essa dipende inevitabilmente dalla storia della persona che si pone questa domanda, dal grado di elevazione a cui si trova e anche dal suo livello di coscienza, cioè da quello che è in grado di sentirsi dire…». L’uomo provò un poco di delusione, forse avrebbe voluto che io gli dessi una risposta netta che non lo rimandasse a se stesso. In realtà, scambiando qualche parola in più con lui, compresi che gli sarebbe piaciuto essere rassicurato che la sua notte dell’anima era la conseguenza di una programmazione inevitabile e che con la sua prova aveva saldato un debito. Ma non si può portare luce a nessuno aggirando i veri argomenti che fanno crescere. Questa è la ragione per cui iniziai a tranquillizzarlo e tentai di spiegargli ciò che segue. « Vede… nel corso dei decenni mi è stato concesso d’immergermi in un certo numero di storie di vita di persone che avevano attraversato episodi di depressione, e devo dire che ho potuto distinguere nettamente due tipi di schema inscritti a questo proposito sui loro rispettivi fogli di viaggio.
* Il primo era chiaro e netto: sì, il confronto dell’anima-personalità con la propria notte oscura faceva davvero parte delle prove che aveva da vivere. L’intenzione suggerita dalle Guide dell’incarnazione era di sviluppare una forza e una capacità di resilienza che fino a quel momento le mancavano… Poi di aiutarla ad approfondire anche la compassione verso chi soffre… E infine comprendere meglio i meccanismi della psiche umana in vista di un futuro lavoro da compiere.
* Il secondo era di tutt’altra natura. Diceva che no, la notte dell’anima non era stata inscritta come una necessità inevitabile sul loro cammino, ma piuttosto come un’eventualità, una sorta di precipizio da costeggiare allo scopo di esercitare la volontà, la vigilanza, di rinforzare la lucidità, la speranza ed evidentemente di uscirne cresciuti, più comprensivi verso le difficoltà altrui…».
La domanda è se è più meritevole vivere l’una piuttosto che l’altra? Certamente no! La caduta «non programmata» in acque oscure è forse una colpa? No! Se evidentemente rivela una fragilità a un qualunque livello, bisogna prima di tutto vederla come il testimone di un apprendistato. Essa ha la missione di ricordare che vivere è innanzitutto imparare, e che imparare significa frequentare la mancanza di attenzione, di memoria, una forma di miopia, di sordità e anche una miriade di paure… In sintesi, vivere significa frequentare il rischio.
Per quanto riguarda l’immersione nel baratro della depressione «programmata karmicamente», anch’essa costituisce una messa alla prova dell’essere, malgrado il suo aspetto intenzionale e apparentemente sotto controllo. Nei fatti, è un altro modo di presentarsi di fronte a un test istruttivo che mette in luce debolezze e risorse». « Allora terminai con « la domanda che sembra tormentarla è una falsa domanda che contribuisce sottilmente a farla soffrire ancora un po’. Ne esca…L’importante è che abbia progredito, che abbia integrato il fatto che c’è sempre una porta alla fine della notte, qualunque sia il grado di oscurità di questa notte, e che al di là di essa vivono tutte le speranze».