il Karma
Cosa è il karma di preciso?
È un concetto che merita di essere chiarito, perché è oggetto di un gran numero di idee stereotipate spesso vaghe, a volte contraddittorie e persino erronee.
Testualmente, la parola karma, che deriva dal sanscrito, significa azione.
Per estensione, definisce la legge di causa ed effetto secondo cui ogni essere umano raccoglie, da una vita all’altra, i frutti delle sue azioni, costruttive, neutre o nefaste. Quando ci capita di parlarne, seriamente o scherzando, in Occidente gli si attribuisce quasi sistematicamente un senso spregiativo che veicola l’idea di una punizione. Chi non ha mai sentito dire, a proposito di una persona improvvisamente messa alla prova dalla vita, in seguito a un incidente, una malattia o ancora una situazione drammatica: «È così… era il suo karma!»? Un’espressione buttata lì con troppa facilità, sempre con una connotazione negativa e che contemporaneamente sottintende che la persona in questione «aveva un debito da pagare. Un facile giudizio, quasi senza appello, dal tragico sentore giudeocristiano e che ha alla base il concetto di «peccato», poiché ovviamente fa di noi gli eredi dei «semi» della prima mela.
Evidentemente tutto ciò che ci è dato di vivere è il risultato di una moltitudine di azioni anteriori, ma bisogna comprendere che quando si presenta una prova non induce necessariamente «il pagamento di un errore del passato». Allo stesso modo è importante realizzare il fatto che l’accumulo dei successi non indica dei meriti profondi del nostro essere. Si fanno delle conversazioni piene di ammirazione verso chi all’apparenza ha tutto quindi si dice che ha un’anima bella, mentre chi chiede l’elemosina su un marciapiede è perché deve essere «punita» perciò ha un’anima sovraccarica di negatività.
La legge del karma non si esprime in maniera elementare! Ha un meccanismo intelligente in qualche modo analogo al Gioco degli Scacchi che prevede gli spostamenti e i buoni posizionamenti dei suoi pezzi molto, molto tempo prima…con la differenza che il gioco dovrebbe chiamarsi «Gioco dei Successi», nella misura in cui la sua orizzontalità richiama costantemente un orizzonte di verticalità.
Alla fine, l’anima è sempre attratta verso un maggiore perfezionamento in complicità con le tantissime esperienze, quindi con dei lavori di «dissodamento» che la Materia propone. È chiamata poi a sublimarsi, anche se l’ego attraverso cui si esprime non lo sa o lo rifiuta negando l’esistenza della sua fonte.
Ma chi è il padrone del «Giocatore di Scacchi», o meglio «dei Successi»? Quella Potenza indefinibile che chiamiamo Dio? Non dobbiamo cercare così lontano, perché il solo padrone delle situazioni che dobbiamo vivere non siamo altro che noi stessi sulle altitudini discrete della nostra Coscienza, cioè della nostra anima individualizzata.
Questo spazio della nostra Realtà è il “direttore d’orchestra” assoluto, il rigoroso regista degli equilibri e degli squilibri che si compensano reciprocamente lungo l’intera traiettoria della nostra evoluzione. Se i nostri ego successivi sono gli attori, contenti o infelici, delle «giustizie umane» le cui geometrie variano secondo le incarnazioni, quella che rimane padrona della Correttezza è la nostra anima. Questa Correttezza è definita come la legge di equilibrio e di armonizzazione che presiede alla moltitudine delle sceneggiature che si presentano a noi per farci crescere. In realtà, ognuno dei nostri ego o delle nostre anime di personalità è sottomesso alle prove della vita, mentre la nostra Anima Globale ne raccoglie le lezioni, i benefici e si rivela infine, poco a poco, a se stessa… per elevarsi…
Perché tornare?
Si trova la risposta attraverso i concetti di Giustezza, Esattezza, Equità e, quindi, di Evoluzione che abbiamo richiamato in precedenza, ma ciò non toglie che rimangano ancora degli interrogativi.
Fra questi i primi sono la reincarnazione è un obbligo? Una necessità imposta? Ci lascia un minimo margine di scelta?Un obbligo?
Utilizzare questo termine non è appropriato. È più giusto parlare di un fenomeno di attrazione o di magnetizzazione sistematica perché in quello spazio che ci accoglie tra una vita e l’altra nessuno ci ordina in modo autoritario: «Adesso devi andare, e ci vai…». È piuttosto qualcosa di noi che dice «dobbiamo» e quindi «andiamo»…
Fenomeno chiamato «spirito di ferro» per la densità che lo origina. Il qualcosa in noi proviene dalle vette dell’anima che ci ricorda la verità secondo la quale quello che fa crescere è il confronto con se stessi.
Per questo confronto il terreno ideale è la materia dove abbiamo lasciato storie, progetti, relazioni in sospeso, un mondo, infine, in cui dolori e sofferenze ricevute e inflitte attendono di essere placate.
Una necessità imposta? Effettivamente sì, anche se l’ego si irrigidisce e poi guarda con apprensione il momento e le circostanze di un ritorno, quando è diventato inevitabile perché «lo spirito di ferro» comincia ad agire in lui. Nell’intervallo extratemporale che separa una vita dall’altra, l’evidenza di questa necessità si sviluppa progressivamente e fa il suo lavoro, in funzione della maturità di chi si deve reincarnare.
Ci lascia un minino di margine di scelta? Non esiste una risposta decisa perché dipende dall’altitudine dalla quale siamo in grado di considerarla. Libertà sottintende maturità. Così la scelta delle circostanze di ogni reincarnazione è funzione della qualità dello sguardo e della lucidità dell’essere che si appresta a indossare nuovamente un “abito di carne” o “pigiamino corpo” come si dice nella psicologia indovedica. Pertanto, si comprende che il nostro margine di scelta o di manovra davanti alle necessità di reincarnarci è proporzionale alla solidità interiore, alla volontà e, per dirla tutta, allo sguardo di verità e lucidità con cui si è in grado di guardare noi stessi e ciò che resta da compiere per il dispiegamento della vita.
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